Sembra che, a dispetto di una crescita con tassi interessanti, ci sia un collo di bottiglia, rappresentato dalla disponibilità delle batterie, che rallenta la diffusione delle auto elettriche nel mondo.
Se si trascura per un momento la situazione ben poco rosea del mercato italiano, in cui le auto elettriche, anche quando crescono come nello scorso mese di giugno, pesano tutt’al più per qualche frazione di punto decimale, si deve notare che a livello mondiale, pur con numeri assoluti comunque non stellari, i veicoli elettrici stanno avendo successo.
Significativo ad esempio il caso di Tesla Model 3 che negli Usa, appena uscita dal tunnel delle difficoltà di produzione, è già diventata la premium compatta più venduta, al punto che le sue vendite superano quelle di tutte le concorrenti sommate.
Un successo forse poco preventivato, o troppo anticipato?
In generale il successo delle auto elettriche sta prendendo di sorpresa un po’ tutti i costruttori, sia quelli che hanno a listino modelli elettrici sia quelli che ancora non ne dispongono. I primi sono forse stati eccessivamente cauti nei loro piani e ora sembrano faticare a produrre abbastanza esemplari per soddisfare la domanda, i secondi si stanno rendendo conto di dover correre ai ripari definendo e annunciando con urgenza piani strategici per l’elettrificazione, seppur tardiva, della gamma (prendiamo ad esempio il caso FCA).
Più che i ritardatari o i folgorati sulla via di Damasco, però, è interessante il caso di chi le auto elettriche le ha volute, progettate e messe a listino, riuscendo anche a suscitare notevole interesse nel pubblico (pensiamo a modelli come la nuova Leaf, o alle Chevrolet Bolt/Opel Ampera E o alle Hyundai Ioniq e Kona elettriche), ma in alcuni casi sta incontrando difficoltà ad aumentare la produzione.
Però mentre nel caso di Tesla, costruttore finora dai bassi volumi, la Casa per la sua Model 3 si è resa conto di avere dei colli di bottiglia “classici” nella capacità della propria linea di assemblaggio finale, che si sono potuti risolvere rivedendo i processi, rimboccandosi le maniche.. e perfino dormendo in fabbrica, la ragione delle difficoltà è un’altra per i costruttori “tradizionali” che hanno messo in gamma delle auto elettriche.
Per loro il motivo non è certo una insufficiente capacità di assemblaggio finale o di produzione di parti di carrozzeria. Si tratta, non dimentichiamolo, di costruttori perfettamente in grado di produrre milioni di vetture tradizionali all’anno e che i volumi non spaventano (anzi, secondo una visione classica di produzione su larga scala i volumi sono i benvenuti!).
Mancano batterie per soddisfare la domanda di auto elettriche a livello mondiale
La causa è la penuria di batterie. Può esserci stata una sottostima da parte della casa costruttrice che ha quindi ordinato quantitativi insufficienti di batterie, oppure può esserci una difficoltà da parte dei produttori di batterie o a fare effettivamente fronte ai volumi produttivi richiesti o a rispondere positivamente agli inattesi aumenti di volumi a loro richiesti dai costruttori successivamente agli accordi iniziali, a causa dell’imprevisto successo dei modelli elettrici. O può esserci stato qualche shortage di qualche componente o sostanza che si è riverberato sui livelli produttivi di batterie complete.
Secondo Business Korea, ad esempio, per la sua Ioniq elettrica la Hyundai aveva inizialmente ordinato a LG Chem 6-7000 batterie. Ma la domanda per questo interessante modello era risultata (già a giugno 2017) doppia rispetto alle attese, generando difficoltà per il fornitore di batterie che in ultima analisi hanno frenato la crescita dei volumi produttivi dell’auto. Hyundai ha imparato la lezione e, pur confermando la propria linea di non produrre batterie in proprio, avrebbe cominciato ad assumere esperti di batterie per costruire una base di know how interna su questo tema strategico, oltre a prevedere per il futuro una strategia di diversificazione per la fornitura di batterie. Un anno dopo, ancora Hyundai è nuovamente vittima del successo di un suo modello, stavolta l’interessante Kona elettrica, per la quale ad esempio in Norvegia la raccolta ordini è andata fin troppo bene (quasi 7mila ordini nelle prime 2 settimane), come pure la percentuale di casi in cui le manifestazioni d’interesse dei clienti per questo modello si sono poi concretizzate in ordini effettivi (ben il 35-40% dei casi, contro una aspettativa della Casa del 25%). La Casa ha onestamente ammesso di aspettarsi che ulteriori ordini potranno essere soddisfatti verso metà 2020.
Altro caso è quello della Chevrolet Bolt/Opel Ampera E, per la quale GM ha recentemente annunciato che le vendite a livello mondiale nel primo semestre 2018 sono aumentate del 40% rispetto all’anno precedente, di conseguenza la produzione verrà incrementata… però non del 40%, ma del 20%, ossia la metà del tasso di crescita di domanda e immatricolazioni!
Sembrerebbe quantomeno bizzarro che non si adegui la crescita della produzione a quella della domanda, se la causa del limite alla produzione fosse legata a fattori sotto il controllo della Casa: e GM naturalmente sa bene come produrre milioni di auto termiche complete in ogni dettaglio e quindi è perfettamente in grado di aumentare la produzione e l’assemblaggio di pianali, carrozzerie, sedili, cruscotti e quant’altro fino ai livelli necessari.
Ma le batterie, quelle no. Le batterie arrivano da fuori e per quelle il costruttore è alla mercè dei suoi fornitori. Ma ciò che più conta, a differenza di parti pure importanti come parabrezza, pneumatici, climatizzatore o gruppi ottici, per i quali esistono diversi fornitori in (accanita) concorrenza fra loro, tipicamente succede che il fornitore delle batterie per un determinato modello sia uno e uno solo: così, quando quel fornitore si trova in difficoltà a fornire volumi crescenti in modo imprevisto, la Casa non ha fonti alternative a cui attingere e può solo armarsi di pazienza.. ed emettere laconici comunicati stampa o inviare circolari alla rete di vendita, nel tentativo di placare i clienti stufi di aspettare e rallentare l’afflusso di nuovi ordinativi.
Inoltre i grandi produttori di batterie sono relativamente pochi e forniscono varie Case automobilistiche: di conseguenza, se il trend favorevole riguarda non un singolo modello, ma più o meno tutte le auto elettriche, di tutte le marche e dimensioni, il fornitore di batterie sarà sottoposto a pressioni a 360 gradi da tutti i suoi clienti. Insomma, mentre non si è mai sentito che la Casa costruttrice X non riesca per lunghi periodi a produrre sufficienti vetture perché il fornitore di pneumatici non riesce a fornire abbastanza gomme o il fornitore di sedili o quello di pinze freno non riescono a produrne a sufficienza per mancanza di velluto o di kevlar, nel caso della fornitura di batterie questo tipo di situazione ultimamente sembra quasi essere la norma.
Pochi produttori, la maggior parte orientali
Da considerare anche il fatto che la maggior parte della capacità produttiva di batterie è fisicamente collocata in estremo Oriente (in primis Cina) e controllata da aziende, se non cinesi, comunque orientali (come Panasonic o LG Chem).
Le iniziative di Tesla relative alle Gigafactory hanno sì l’effetto di realizzare singoli impianti di dimensione enorme e quindi con possibili economie di scala enormi, ma non spostano in modo sostanziale la distribuzione complessiva della capacità produttiva, il cui baricentro rimane in Asia, anzi Tesla stessa nel suo programma di costruzione di ulteriori Gigafactory ne ha recentemente annunciata una che sorgerà proprio in Cina, a Shanghai.
È vero che a breve dovrebbe essere annunciata la localizzazione anche della Gigafactory prevista fin dall’inizio anche per l’Europa, come è vero che player asiatici come LG Chem hanno creato degli impianti produttivi anche in Europa (Polonia nella fattispecie), tuttavia la distribuzione della capacità produttiva di batterie rimane sbilanciata a favore del Far East.
Come abbiamo recentemente visto, in quanto a strategia di integrazione verticale Tesla si trova in beata solitudine con le sue Gigafactory e il suo formato proprietario 2170. Ci sono Case che per sicurezza acquistano una partecipazione azionaria in qualche battery joint venture, e ci sono addirittura Case, come Nissan, che decidono di cedere la propria divisione che si occupa di ricerca e sviluppo e produzione batterie.
In teoria la strategia di non impegnarsi direttamente nella produzione di un componente cruciale come la batteria può avere un senso: non legandosi a nessuna particolare tecnologia di processo (o formulazione elettrochimica) con investimenti miliardari in ricerca prima e in impianti poi, si riduce il rischio di essere saliti sul treno sbagliato e ci si può avvantaggiare più liberamente di eventuali salti di qualità nelle prestazioni delle batterie resi possibili da discontinuità tecnologiche.
Tuttavia i progressi, almeno finora, sono stati lentamente evolutivi più che rivoluzionari (almeno se ci limitiamo a batterie davvero commercialmente disponibili e non ai tanti annunci di gruppi di ricerca in giro per il mondo), quindi tutta questa libertà d’azione per adottare al volo l’ultimissima novità in tema di batterie non si è rivelata, ad oggi, un vantaggio competitivo così fenomenale, nè tale da compensare gli svantaggi.
Per ora la strategia vincente è quella di Tesla
Per contro, l’approccio di Tesla di dotarsi innanzitutto di una capacità produttiva propria, su larghissima scala, in grado di generare vantaggi di costo rispetto alla concorrenza e in grado di scalare se necessario con le dinamiche che ci si attende per i volumi di vendita delle proprie vetture, se da un lato ha legato Tesla alla tecnologia delle batterie al Litio, a un particolare formato (il 2170, peraltro di sua invenzione) e a una particolare formulazione elettrochimica, quindi riducendo la libertà d’azione in tema di procurement, ha finora posto le basi per sostenere volumi elevati e dinamiche di forte crescita senza essere alla mercè di alcun singolo fornitore esterno, ma dovendosi principalmente impegnare per risolvere i problemi al proprio interno.
Non solo, ma (seppure meno velocemente che con un semplice cambio di fornitore) Tesla può sempre tenere monitorate le nuove tecnologie di batteria ed eventualmente migrare in futuro a una nuova formulazione elettrochimica restando nel campo del Litio, oppure cambiare in modo ancora più radicale se dovesse emergere una “next big thing” che dovesse soppiantare il Litio, impegnandosi comunque a produrre in proprio celle e battery packs nella nuova ipotetica tecnologia emergente.
Finora insomma le notizie sembrano dare ragione a Tesla, che pur essendosi resa padrona del proprio destino (almeno di quello a breve termine) grazie alla Gigafactory, dovrà comunque impegnarsi nella costruzione di diversi altri impianti analoghi in Asia ed Europa, per salire da una produzione di 50 GWh/anno, come da piani iniziali, a 150 GWh/anno, secondo l’ultima revisione della strategia. Un compito non facile, certo.
Ma se ci riuscirà, Tesla continuerà a godere di un importante vantaggio competitivo sulle altre Case. Almeno fino a quando non dovessero verificarsi degli improvvisi progressi tecnologici disponibili sul mercato che non siano rapidamente applicabili nei processi produttivi della Gigafactory.
il formato 2170 non e’ proprietario tesla ma una delle tante opzioni delle celle cilindriche , ben prima di Tesla il formato 2170 e’ stato usato da Samsung per le batterie delle biciclette a pedalata assistita dove adesso e’ praticamente il formato piu’ diffuso rispetto alle vecchie 18650
(18650 = 18mm diametro 65mm unghessa
2170 = 21 mm diametro 70mm lunghezza