Non sappiamo se ci capiterà di vedere case automobilistiche come Volkswagen, Stellantis, Renault o Hyundai/Kia, pubblicare una propria proposta di standard informatico per rappresentare i dati in modo più efficiente e flessibile. Tesla lo ha appena fatto, per migliorare il “cibo” delle reti neurali e degli algoritmi di machine learning che sono alla base del sistema di guida autonoma.
Né sappiamo se gli stessi concorrenti di Tesla sopra citati convocheranno anche loro una conferenza per raccontare struttura e prestazioni di un supercomputer parallelo, progettato e ingegnerizzato internamente, per gestire il training continuativo del sistema di guida autonoma sfruttando flussi di dati in arrivo da una flotta circolante di oltre un milione e mezzo di veicoli, offrendo una capacità di calcolo ai primissimi posti nella classifica dei computer più potenti al mondo.
E non sappiamo neanche se gli stessi costruttori sveleranno al mondo un computer di bordo completamente progettato al proprio interno, compreso il processore neurale su cui esso si basa, per gestire in tempo reale, e con proprietà di basso consumo e resistenza ai guasti, la guida autonoma a bordo dei propri veicoli.
Il cambiamento culturale a cui è chiamata l’industria automotive
In generale, sospettiamo che non vedremo mai niente del genere, perché richiederebbe un cambiamento culturale e una internalizzazione di competenze che finora i car maker tradizionali avevano sempre scrupolosamente esternalizzato, finendo per dipendere dai fornitori tecnologici esterni. Con l’effetto, oltretutto, di perdere molte opportunità di differenziazione, dato che tecnologie e componentistica hanno tradizionalmente avuto origine (esterna) simile per tutti: le auto delle varie Case differivano più per design e marketing, che per sostanza. Motori e piattaforme sono fra le poche componenti “chiave”, molto costose da ottimizzare e industrializzare, che i vari gruppi tengono per sé, condividendoli però fra tutti i marchi del proprio gruppo. Tra i risultati vediamo, ad esempio, che due auto come l’Audi A3 Sedan e la Skoda Fabia possono avere lo stesso motore benzina 3 cilindri 1.0 da 110 CV: la differenza è immagine, design, carrozzeria, allestimenti, marketing e prezzo.
Nelle auto elettriche le componenti “chiave” più cruciali sono il powertrain con la sua efficienza, la batteria con il suo sistema di ricarica, il sistema di guida autonoma, la possibilità di aggiornamenti over the air, l’ecosistema dell’infrastruttura di ricarica.
Su tutte queste caratteristiche Tesla ha sviluppato internamente le competenze tecniche e ingegneristiche, nonché l’industrializzazione e la stessa produzione. E’ interna anche la competenza sulle batterie, anche se gradualmente, per l’impetuoso aumento del fabbisogno, si è dovuta piegare all’acquisto anche da fornitori esterni come CATL. Anche la rete proprietaria di Supercharger è un asset unico nel settore, sul quale il vantaggio sarà molto difficile da colmare. Ma nell’integrazione verticale Tesla è andata anche oltre, muovendosi davvero controcorrente. Tipico esempio è la scelta di produrre al proprio interno anche parti ritenute “non cruciali” e quindi tradizionalmente affidate a fornitori esterni, come i sedili.
Scelte controcorrente che hanno portato al successo Tesla
Se Tesla avesse fatto fiasco, si sarebbe detto che la causa del fiasco erano state tutte queste scelte drasticamente controcorrente. Ma Tesla ha avuto l’enorme successo che tutti possono osservare, e quindi forse bisogna ammettere che una parte del merito è stato proprio delle scelte controcorrente che ha fatto. Per dirlo alla maniera di quelli che hanno studiato marketing, un vero approccio disruptive.
Considerato tutto quello che NON c’è a bordo di un’auto elettrica, una grande quantità di know how perde improvvisamente rilevanza e di questo dovranno tenere conto le filiere. Alla concorrenza tradizionale restano competenze tecniche fungibili anche per l’auto elettrica, come la telaistica o l’accuratezza costruttiva. Ancor oggi registriamo testate giornalistiche tradizionali darsi ad acclamazioni quando constatano che su un determinato modello, il trasparente è steso anche sulla faccia inferiore del cofano o nelle parti interne del vano motore, oppure che le guarnizioni del giro porta sono eccezionalmente ben calzate sui labbri dei lamierati e hanno giunzioni poco visibili, oppure che le estremità posteriori delle rotaie dei sedili anteriori sono protette da dei carter in gomma per proteggere le scarpe dei passeggeri.
Dubitiamo, però, che saranno queste le peculiarità che salveranno l’industria automobilistica tradizionale. Prima si dovrà convincere la clientela più qualificata di essere riusciti ad eguagliare il leader del settore su quello che conta davvero, poi si potrà anche pensare a differenziarsi con aspetti quali il design degli interni, la qualità delle guarnizioni o il trasparente sotto il cofano. O a sostenere l’immagine del marchio con faraoniche campagne pubblicitarie su tv e media tradizionali e online. È appena il caso di ricordare che Tesla ottiene il susseguirsi di record di vendita che stiamo osservando, senza mai farsi pubblicità e senza nemmeno avere un reparto di relazioni esterne, almeno formalmente. Evidentemente i suoi prodotti risultano convincenti da fare della Model 3 un best seller (l’auto elettrica più venduta al mondo, nonché l’auto in assoluto più venduta in Europa a settembre 2021) senza aver bisogno né dell’una, né dell’altro.