Era molto attesa, la Tesla Model S Plaid. La nuova top di gamma di Tesla, con il powertrain a tre motori, aerodinamica affinata (Cx 0.208), autonomia oltre 600 km, selezione intelligente della marcia avanti o indietro, interni e infotainment rivisitati, e la discussa “cloche” al posto di un comune volante. Ma soprattutto, prestazioni dichiarate, per l’accelerazione, decisamente fuori dall’ordinario e anche poco verosimili (come abbiamo cercato di approfondire qualche mese fa), a meno di non ammettere qualche “aiutino”.
E in effetti, ora che la Model S Plaid è arrivata (per ora solo in Usa) e che qualcuno ha finalmente potuto provarla e cronometrarla, sono arrivate le conferme: sia del fatto che le prestazioni sono fuori dall’ordinario, sia del fatto che l’aiutino ci vuole. Com’era fisicamente inevitabile.
Accelerazione dichiarata e reale della Tesla Model S Plaid
Accreditata di ben 1020 CV (e coppia imprecisata), la vettura si è rivelata, in diverse prove, capace di scattare sul test 0-60 miglia orarie in tempi oggettivamente straordinari: il migliore finora pubblicato, dal sito MotorTrend, è stato di soli 1,98 secondi (comunque più degli 1,9 secondi dichiarati, a voler fare gli incontentabili). Dato però che scattare da 0 a 60 miglia orarie in 1,98 secondi comporta una accelerazione media di 13,546 m/s2 (pari a quasi 1,4 g), la spinta necessaria non può venire dalla sola aderenza di normali pneumatici su normale fondo stradale d’asfalto (dato che il coefficiente d’attrito in gioco è circa 1). Come avevamo osservato, serve una maggiore aderenza perché l’auto possa scaricare a terra senza pattinamenti tutta la mostruosa coppia di cui dispone, quindi ci vuole un coefficiente d’attrito maggiore di 1. E quindi materiali diversi dai normali gomma e asfalto, o condizioni ambientali non standard, o entrambe le cose.
E infatti proprio questo è uno dei due “aiutini” ufficialmente necessari (sarebbe stata la stessa Tesla a dare indicazioni in tal senso alla testata che chiedeva di poter sottoporre a test la Model S Plaid). L’asfalto deve essere trattato come si fa da anni in Usa nelle piste di accelerazione per dragster, con una copertura a base di un prodotto comunemente noto come VHT (più esattamente PJ1 Track Bite), una speciale resina sintetica a base di isopropanolo, che favorisce l’aderenza della gomma all’asfalto; oltre ad aumentare direttamente l’aderenza pneumatico-asfalto, rende anche più facile, eventualmente, “gommare” la pista, cosicchè successivamente gli pneumatici devono aderire non ad asfalto pulito, ma ad asfalto gommato, incrementando significativamente il coefficiente d’attrito effettivo a parità di mescola degli pneumatici.
Il cheetah mode per scatenare la furia di 1020 Cv
Oltre alla superficie preparata, serve il cosiddetto “one foot rollout” (si detrae dal tempo del test di accelerazione il tempo impiegato dal veicolo per percorrere i primi 30 centimetri circa; in pratica il test non è più realmente 0-60 miglia orarie, ma 6-60 miglia orarie) e infine va selezionata la speciale modalità Drag Strip Mode, che richiederebbe fra gli 8 e i 15 minuti per attivarsi; selezionandola si avvierebbe un processo di ottimizzazione della temperatura del battery pack e dei motori stessi (che verrebbero raffreddati). Successivamente si devono tenere premuti contemporaneamente freno e acceleratore, il che attiva il “Cheetah Stance” (le sospensioni attive abbassano l’avantreno), e finalmente, rilasciando il freno, si scatena la furia dei 1020 CV per il test.
Si tratta quindi di prestazioni indubbiamente eccezionali, ma che sono raggiungibili solo in un contesto “preparato” e nel quadro di una gestione praticamente “da gara” del mezzo e del fondo stradale.
Con la stessa procedura, ma su asfalto normale, lo stesso sito avrebbe cronometrato 2,07 secondi. E se non si detrae il tempo del “one foot rollout”, il tempo sale ancora a 2.28 secondi (corrispondente a una accelerazione media di circa 1.199 g). Se poi si ha molta fretta e non si vuole attendere l’attivazione del Drag Strip Mode nè usare la “postura Cheetah”, il tempo salirebbe ancora leggermente, a 2.45 secondi. Anche senza gli “aiutini”, però, è chiaro come la Plaid rimanga comunque un’auto eccezionalmente scattante, anche su fondo stradale normale, semplicemente premendo a tavoletta l’acceleratore e senza particolari preparazioni: il suddetto tempo di 2.45 secondi risulterebbe migliore di uno o due decimi di secondo rispetto a quello ottenuto dalla Porsche Taycan Turbo S nello stesso tipo di test.
Tesla Model S Plaid e Porsche Taycan Turbo S
In un altro test comparso in rete la Plaid è stata messa a confronto con una Taycan Turbo S mediante l’affiancamento sincronizzato di due filmati, senza pretesa di scientificità nè garanzia di condizioni esattamente equivalenti, ma con impiego della stessa attrezzatura e dello stesso software. Il confronto diretto completo non è possibile in quanto nel filmato della Porsche i cronometraggi relativi ad alcune distanze si riferiscono a unità metriche, mentre nel filmato della Plaid si parla sempre di piedi e miglia, tuttavia ci sono tre distanze su cui i due test sono confrontabili:
Model S Plaid | Taycan Turbo S | |
0-60 piedi (circa 20 m) da fermo | 1,56 s | 1,59 s |
1000 piedi (circa 300 metri) da fermo | 7,82 s | 8,66 s |
velocità di uscita | 223,73 km/h | 193,53 km/h |
Quarto di miglio (circa 400 metri) da fermo | 9,30 s | 10,39 s |
velocità di uscita | 244,55 km/h | 210,15 km/h |
Si è visto che alle bassissime velocità le due auto hanno accelerazioni quasi uguali, ed è normale che sia così dato che a tali andature lo scatto raggiungibile è superiormente limitato dall’aderenza e non dalla potenza del motore. Quindi, se la potenza del motore è sufficientemente alta per arrivare al pattinamento delle ruote motrici, diventa irrilevante avere una potenza ancora superiore: se l’avesse, e la usasse tutta alle basse velocità, l’auto perderebbe tempo (e sprecherebbe potenza) sgommando anzichè accelerando.
Dove la differenza continuerà a esserci, e vale anche oggi per la Plaid, è nell’accelerazione e ripresa alle alte velocità, dove contano coppia e potenza del motore (e in parte l’aerodinamica) e non l’aderenza. In queste condizioni la Plaid avrebbe fatto meglio della Taycan Turbo S. Secondo fonti in rete, avrebbe infatti impiegato meno tempo la Plaid nello scatto da fermo da 0 a 160 mph rispetto al tempo impiegato dalla Taycan Turbo S per la ripresa da 30 a 160 mph!
Altro aspetto interessante è che per la Plaid il test di frenata avrebbe fatto registrare una decelerazione di oltre 1,15 g, un valore inferiore a quello dell’accelerazione media senza preparazione dell’asfalto e senza one-foot rollout (1,199 g): circostanza, questa, alquanto singolare.
Siamo già arrivati al limite fisco dell’accelerazione nello spazio breve?
L’auto elettrica di tipo moderno e prodotta in serie è ancora negli anni della sua “infanzia” (per confronto l’auto con motore a combustione interna esiste, fondamentalmente nella forma attuale, da ben oltre un secolo), eppure siamo già arrivati al punto che una berlina elettrica a 5 posti e 2 bagagliai, nello scatto breve si comporta meglio di una qualsiasi supersportiva “termica” di produzione, anche arci-blasonata. Inoltre siamo già arrivati ai limiti fisici di quello che si può fare sullo scatto breve, senza spazi per ulteriori grossi miglioramenti, al punto che tutta questa materia sta ormai perdendo significato: oggi le prestazioni top sono esclusiva di Model S Plaid e Taycan Turbo S, ma nei prossimi anni si moltiplicherà il numero di modelli elettrici (anche con potenze molto inferiori ai 1020 CV della Plaid) il cui powertrain – eventualmente su uno scatto ancora più breve dello 0-60 miglia orarie, o dello 0-100 km/h – si rivelerà in grado di raggiungere il limite di aderenza, offrendo accelerazioni medie di circa 1 g su strada normale e senza preparazione.
Le prestazioni delle auto elettriche sullo scatto breve o brevissimo tenderanno cioè a livellarsi, e smetteranno di fare una qualche differenza (e forse anche di costituire argomento di conversazione). Almeno fino a quando la Roadster non offrirà realmente un sistema ausiliario a razzo o ad aria compressa, magari con logo SpaceX, come varie volte annunciato, per supplementare la spinta ottenibile dalle ruote. In tal caso si potrà scendere ancora con i tempi sullo scatto breve. Ci sarà però da chiedersi, a quel punto, se il veicolo in questione possa ancora essere definito semplicemente come una automobile.
Dove possono migliorare le auto elettriche in un prossimo futuro
Nel mondo delle auto elettriche, la corsa alle prestazioni si sposterà su aspetti diversi:
- accelerazione e ripresa alle alte velocità: qui servirà maggiore potenza (sia dal battery pack sia dai motori)
- riproducibilità del test: servirà stabilità termica di battery pack e motori
- velocità media mantenibile per lunghi periodi, in gare di endurance, record sulle 24 ore, anello di Nardò etc.: qui i fattori limitanti saranno la capacità della batteria e la velocità di ricarica
- capacità della batteria di sopportare gli stress intensi della guida sportiva senza danneggiarsi o degradarsi troppo in fretta
- autonomia anche in condizioni di guida sportiva: qui probabilmente proseguirà, con finalità nuove, l’esplorazione della strada aperta dalla Taycan con il suo cambio a 2 velocità, che permette di far lavorare il motore elettrico nel campo di utilizzo più vantaggioso.
Il tutto con ricadute interessanti non tanto per i modelli ad alte prestazioni in sè, quanto per il miglioramento generale della tecnologia delle auto elettriche “mainstream”.