Idrogeno 2030, ultima frontiera dell’Europa Pulita

0
Illustrazione di acqua usata dal Mise per l'apertura del comunicato stampa sulla strategia per l'idrogeno.

Negli ultimi tempi è sempre più gettonata l’associazione tra idrogeno all’energia, in molti casi parlando esplicitamente di economia dell’idrogeno come di una nuova filiera centrale per l’industria. Già da tempo esistono azioni tattiche, quando non strategie, di macroaree maggiori quali Cina e Nordamerica. Ne abbiamo recentemente parlato per la piccola ma potente Corea del Sud, che investe molto anche in altre innovazioni come l’hyperloop.

E’ con queste che si confronta l’Europa, con una sua strategia particolarmente interessante, non solo per l’idrogeno.

L’idrogeno può servire per immagazzinare energia quando e dove c’è produzione ma non serve, un po’ come accade per le dighe. Dove è disponibile, l’energia viene usata nell’elettrolisi per scindere l’acqua in ossigeno ed idrogeno: quest’ultimo viene o stoccato ed inviato in fusti, oppure direttamente inoltrato su tubature, per poter essere usato là dove serve.

Per diventare realtà, la teoria richiede ancora molte azioni che racconteremo nei tempi futuri. E’ chiaro che al momento l’idrogeno non è praticabile per grandi numeri di auto di singoli cittadini. Può essere ragionevolmente adatta a flotte di mezzi di vario genere, anche auto, gestite unitariamente. All’idrogeno per l’alimentazione delle automobili il nostro Marco Mussini ha dedicato un profondo articolo tecnico. Le auto elettriche non sono il primo obiettivo dell’idrogeno, ma comunque ne esistono di due tipi: quelle ad uso diretto e le FCEV, nelle quali il costruttore aggiunge una piccola batteria di supporto alla cella (come complemento potenza e per sfruttare la frenata rigenerativa).

Gli usi dell’idrogeno

La molta energia dell’idrogeno sotto pressione può essere usata sia direttamente in motori a combustione, sia indirettamente attraverso celle a combustibile (generatori per motori elettrici).

L’idrogeno può essere ricavato in molti modi, più o meno inquinanti. La strategia europea, almeno sulla carta, pensa esclusivamente all’idrogeno pulito. Solo nei fatti sarà possibile vedere come si dipanerà a livello continentale e a livello nazionale.

La situazione mondiale sull’idrogeno in una slide di Snam

L’inoltro di idrogeno su tubature è molto complesso. Nonostante se ne parli come di opere facili da acquisire, gli idrogenodotti sono tutt’altro che facili da manutenere. Per comprimerlo servono pressioni elevate, che mettono in difficoltà tutte le componenti di una tubazione (tubi, valvole, microcricche delle giunzioni ed altri elementi). Realizzare una rete di idrogenodotti estesa e capillare quanto quella degli attuali metanodotti comporterebbe tempi lunghi e investimenti astronomici. Alternativamente si potrebbe riutilizzare in tutto o in parte l’attuale rete di metanodotti, ammesso che l’infrastruttura sia tecnicamente adattabile senza eccessivi sconvolgimenti dovuti a pressioni e caratteristiche dell’idrogeno. Tale scelta implica riduzione o soppressione del trasporto di metano, richiedendo cambiamenti impraticabili sui milioni di dispositivi di uso finale che oggi funzionano con quella sorgente di energia.

La filiera europea

Perché l’idrogeno faccia parte del sistema di produzione e trasporto di energia nazionale ed internazionale serve una filiera concordata su scala continentale. L’Europa, che è arrivata in ritardo rispetto ad esempio a Cina e Giappone, pensa di avere strutturato una corretta filiera la cui realizzazione la renderà competitiva a medio termine. Lo stato dei lavori è stato tratteggiato durante lo European Hydrogen Forum del 26/27 novembre 2020. L’anno di svolta per il completamento di una prima filiera europea dell’idrogeno pulito (si sottolinei) dovrebbe essere il 2030, prevalentemente per gli usi industriali.

Il sottotitolo descrive bene le direttrici della strategia europea: kick-starting the EU hydrogen industry to achieve the EU climate goals. Quindi ci muoviamo su due assi: sostenibilità ambientale e cooperazione.

Idrogeno contro fonti fossili

Partiamo dall’aspetto ambientale. La produzione di energia per la scissione dell’acqua in idrogeno ed ossigeno può avvenire in svariati modi, rinnovabili o fossili.

Bruciando gas si inquina comunque (meno che con la benzina), ma la materia prima si trova in luoghi già organizzati per la successiva movimentazione.

Se invece si usano rinnovabili come sole, vento o maree, l’energia è veramente pulita. Volendo si potrebbe obiettare ancora su qualcosa, come le emissioni causate dal processo di produzione di pale eoliche e pannelli solari, come già sono prese di mira le emissioni legate al processo di produzione delle batterie per autoveicoli. 

Una alternativa esiste. Se la produzione di energia avviene in luoghi ideali, quali deserto o oceano, siamo tipicamente lontano da tutto. In questo caso bisognerà sviluppare un periodo di coesistenza fossile/rinnovabile mentre si costruiscono le nuove autostrade energetiche, per poi passare al 100% rinnovabile.

Ipcei: la cooperazione richiede un certa attenzione 

Il lavoro fatto sulle gigafactory di batterie ha chiaramente mostrato un modello per una cooperazione più stretta di prima. La base è senz’altro l’Ipcei, L’Importante Progetto di Interesse Comune Europeo è uno strumento particolarmente adatto alle necessità di snellezza della tecnologia odierna. Già molti di questi progetti sono stati avviati, e in particolare quello relativo alle batterie europee, del quale abbiamo parlato in un precedente articolo.

Per quanto riguarda l’Ipcei sull’idrogeno, il ministro Stefano Patuanelli ha firmato l’accordo lo scorso 17 dicembre. Richiede però un’inversione di tendenza rispetto alle precedenti politiche di finanziamento. ”Bisogna ripensare le percentuali di Opex e Capex, se vogliamo veramente l’idrogeno in Europa”, ha precisato Valèrie Bouillon-Delporte, Presidente di Hydrogen Europe. E questo richiederà investimenti in gran parte pubblici.

Le prospettive sembrano esserci. “Oggi la tecnologia europea può farcela”, ha detto Francesco Starace, AD di Enel. “Bisognerà fare una scelta anche tra grandi fabbriche remote e piccole fabbriche locali: il Giappone, che ha investito tanto e in anticipo, ha spesso sbagliato, ma le sue scelte vanno considerate con attenzione”.

Il calcolo delle ripartizioni dedicate alla categoria dell’idrogeno in una ricostruzione di Sky antecedente l’ultima versione approvata del Recovery fund

Nel Recovery Plan l’idrogeno è chiaramente specificato insieme a mobilità e rinnovabili, con uno stanziamento complessivo di 18,2 miliardi la cui erogazione, se avvenisse, richiederebbe svariati anni.

La cooperazione è certo l’aspetto essenziale nel Vecchio Continente. Nessuna nazione europea ha le caratteristiche per operare da sola in questo ecosistema. I progetti coordinati in sede europea partono già come sforzi congiunti (Germania/Francia, Spagna/Portogallo ed altre iniziative), ma devono rientrare in una filiera complessiva che l’Europa ha già pensato. Serve una visione complessiva per raggiungere le economie di scala che faranno scendere i prezzi (in primis dell’elettrolita) e aumentare la fruizione (aviazione ed heavy duties per cominciare).

Non si rimarcherà mai abbastanza che per l’idrogeno, come per le batterie, la filiera europea è clean, mentre quella dei concorrenti non lo è (o lo è molto meno). Solo con opportuni meccanismi si riuscirà a fronteggiare il lungo interregno nel quale l’idrogeno pulito europeo costerà sensibilmente più di quello orientale.

L’ottimismo e la normativa

Frans Timmermans, Commissario UE e VP del Green Deal, continua a sprizzare euforia da tutti i pori delle sue proposte. Egli non si muove con il piglio dell’ingegnere ma con la speranza del visionario,e ritiene automatica la definizione dei dettagli via via che il progetto si sviluppa. Ritiene quindi possibili gli auspicati tagli del 55% delle emissioni europee entro il 2030 e la climate neutrality entro il 2050. Dal punto di vista scientifico, qualsiasi salto di oltre tre anni è pura speranza, mentre da quello ingegneristico possiamo parlare di dieci anni.

Il nodo di tutti i problemi continentali è la normativa europea. Legata com’è a quelle nazionali, non ha possibilità di coordinare un qualsiasi sforzo di queste dimensioni. L’unico modo per andare avanti sembra quindi operare con una struttura parallela con controllo centrale, una soluzione fa sobbalzare dalla sedia molte persone. Certo l’Europa non è abituata ad una gestione al di fuori del controllo istituzionale classico. Questo è un argomento al quale l’Italia è molto sensibile, perché sta fronteggiando proprio una necessità analoga per l’impiego dei fondi europei, da quelli annuali al Recovery Fund e alla NextGenEU. E qui purtroppo ricadiamo nello squallido teatrino della politica dello Stivale.

Ultimo aggiornamento: 15 gennaio 2021


Questa mailing list usa Mailchimp. Iscrivendoti ad una o più liste, contestualmente dichiari di aderire ai suoi principi di privacy e ai termini d'uso.

In ottemperanza al Gdpr, Regolamento UE 2016/675 sui dati personali, ti garantiamo che i tuoi dati saranno usati esclusivamente per l’invio di newsletter e inviti alle nostre attività e non verranno condivisi con terze parti.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here