Dove può arrivare la sfida dell’auto ad aria compressa

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Una bufala o una tecnologia di accumulazione d’energia che potrebbe soppiantare le batterie chimiche?

Di auto ad aria compressa ce ne siamo già occupati più volte, sfatando anche qualche mito, ritorniamo ora sul tema facendo qualche considerazione aggiuntiva sul comprimere aria per immagazzinare energia e poi espanderla per recuperare l’energia spesa per la compressione (o almeno buona parte di essa). Questa è l’idea alla base dei sistemi ad aria compressa per lo stoccaggio di energia.

Questi sistemi potranno trovare applicazione sia sulle auto (si pensi all’ibrido ad aria Peugeot/Citroen) sia nelle stesse reti elettriche nazionali, dove ancor oggi il principale sistema per immagazzinare grandi quantità di energia prodotta in eccesso, è quello di sfruttare i bacini idroelettrici pompando acqua in quota per poi lasciarla precipitare per le condotte forzate della centrale quando serve recuperare l’energia immagazzinata.

Partiamo da qualche rudimento prima di approfondire il discorso: la compressione di un gas richiede lavoro e l’espansione restituisce lavoro, ma perchè il sistema sia interessante occorre che la frazione di energia recuperabile sia il più possibile vicina al 100% dell’energia spesa per la compressione. Sfortunatamente, come vedremo, il 100% è difficile da raggiungere. 

Inoltre, nel caso specifico dell’autotrazione, è importante che il sistema sia leggero e non troppo ingombrante. Se anche l’efficienza di recupero fosse del 100%, ma se occorresse portarsi a bordo una tonnellata fra bombole, tubi e pompe, per immagazzinare pochi kWh di energia, il veicolo diventerebbe troppo pesante: meglio sarebbe allora continuare ad affidarsi alle classiche batterie elettrochimiche.

Partiamo dal rendimento

Un ciclo di compressione-espansione di un gas può essere condotto secondo vari regimi di interazione fra il gas e l’ambiente esterno.

Un primo regime (puramente ideale e irrealizzabile, a rigore, nella pratica) è quello della compressione isoterma, in cui la temperatura del gas viene mantenuta costante durante la compressione (deve dunque essere ceduto calore all’esterno, perchè la compressione farebbe riscaldare il gas) e durante l’espansione (qui deve essere invece assorbito calore dall’esterno, altrimenti il gas si raffredderebbe).

Per poter avere una efficienza perfetta il processo dovrebbe procedere con estrema lentezza, attraverso una infinita serie di salti infinitesimi di pressione e volume, attendendo ogni volta che avvenga lo scambio termico necessario per riguadagnare l’equilibrio di temperature. In questi termini è qualcosa di irrealizzabile nella realtà e comunque, anche ammettendo che lo fosse, troppo lento per poter essere d’interesse su un veicolo che deve muoversi in tempi non “geologici”. Di fatto, la compressione isoterma può solo essere approssimata e il rendimento sarà ben inferiore al 100%. 

Un secondo regime, anch’esso ideale, è quello della compressione adiabatica. In questo caso si evita assolutamente qualunque scambio di calore fra il gas e l’ambiente. Durante la compressione il gas viene lasciato scaldarsi, durante l’espansione viene lasciato raffreddarsi.

Se si riesce effettivamente a evitare ogni scambio termico con l’esterno, e se il ciclo viene eseguito in modo sufficientemente lento da non dare spazio a fenomeni fisici irreversibili, principalmente attriti, allora, anche qui idealmente, tutto il lavoro compiuto per comprimere il gas viene restituito durante l’espansione. Sfortunatamente nessun materiale è un isolante perfetto, inoltre non è solo il recipiente del gas a dover essere un ottimo isolante, ma anche le pompe usate per comprimere il gas, le tubazioni e in generale tutti i componenti del sistema. Anche in questo caso, in conclusione, il rendimento raggiungibile non è mai del 100%.

E passiamo a considerare energie, ingombri e pesi

Supponendo di seguire un ciclo di compressione approssimativamente isoterma condotto in condizioni ideali, con estrema lentezza, e di utilizzare bombole in Kevlar (più leggere di quelle in acciaio a parità di resistenza: circa 2 kg contro ben 7,5 kg) della capacità di 5 litri e in grado di sopportare una pressione di 20 MPa (200 volte la pressione atmosferica), il sistema di pompaggio spenderebbe circa 530 KJ di lavoro per riempire ogni bombola (partendo, per ogni bombola, da 1 metro cubo di aria a pressione ambiente).

Questa quantità di energia, rapportata al peso della bottiglia (più il peso dell’aria immessa, che a queste pressioni non è più trascurabile: un metro cubo d’aria pesa circa 1,2 kg e naturalmente continua a pesarli anche una volta compresso a 200 atmosfere nella bombola da 5 litri), corrisponde a una densità energetica di circa 165 kJ/kg, senza contare il peso di tubazioni, pompe, valvole, e quant’altro sia necessario per il processo, in particolare gli scambiatori di calore (non dimentichiamoci che occorre approssimare il più possibile un ciclo isotermo, e che per mantenere la temperatura del gas costante e uguale a quella ambientale occorre scambiare calore continuativamente). 

165 kJ/kg possono sembrare una quantità rispettabile, ma espressi in unità di misura più familiari sono una quantità modesta a fini di autotrazione: circa 0,045 kWh/kg, da confrontare con la densità energetica delle batterie al piombo (0,030-0,040 kWh/kg, quindi comparabile) e al Litio (anche 10 volte migliore, pari a 0,28-0,5 kWh/kg per i tipi più diffusi, senza considerare le promettenti celle con elettrodi nanostrutturati). Va ancora peggio per quanto riguarda la densità volumetrica: con una compressione isoterma d’aria come quella descritta possono essere immagazzinati 0,03 kWh per litro d’ingombro delle bombole. Le batterie al piombo hanno invece una densità volumetrica 2-2,5 volte maggiore, quelle al Litio anche 20 volte maggiore.

Per realizzare con la tecnologia ad aria compressa sopra descritta un sistema equivalente a una batteria al Litio da circa 20 kWh, pesante circa 70 kg e con circa 35 litri d’ingombro, come quelle oggi spesso impiegate in vari modelli di auto elettrica, occorrerebbero 20/0,045=circa 436 kg fra bombole e aria, usando 136 bombole da 5 litri, con un’occupazione di 0,65 metri cubi circa. Per quanto riguarda il peso si tratta di valori più in linea con le prestazioni – scarse – degli accumulatori al piombo, non certamente con quelle delle batterie al Litio. Per quanto riguarda lo spazio il confronto è perso in partenza, specialmente con le Litio.

E non abbiamo parlato dei costi, che usando bombole ultraleggere in Kevlar sono ovviamente maggiori rispetto allo stesso sistema ma realizzato con comuni bombole in acciaio. Peccato che l’acciaio pesi più del triplo del Kevlar, il che affosserebbe ulteriormente le prestazioni in termini di densità energetica rispetto al peso del sistema bombole.

In conclusione

Se ci riferiamo all’impiego in ambito autotrazione, usando l’aria compressa come unica forma di immagazzinamento di energia invece di un sistema di batterie al Litio, il veicolo avrà uno o più dei seguenti difetti:
– peso elevato (specie se con bombole in acciaio)
– ingombro elevato
– costo elevato (specie se con bombole in compositi, carbonio o Kevlar)
– scarsa autonomia
– scarsa potenza (in quanto l’energia deve essere immagazzinata e rilasciata lentamente per evitare quegli effetti che abbasserebbero in modo inaccettabile il rendimento: da scordarsi, insomma, le “sgommate” al semaforo – a meno di non essere disposti ad accettare un sensibile calo dell’autonomia a causa della minore efficienza di recupero dell’energia)

E’ quindi più probabile l’uso dell’aria compressa per piccole capacità, come nelle ibride (non a caso Peugeot/Citroen hanno proposto esattamente questo schema).

Il vantaggio consiste invece nella minor dipendenza da elementi chimici, come il Litio, di prezzo crescente, di smaltimento più difficile a fine vita e la cui estrazione ha una impronta ecologica significativa e fortemente concentrate in poche “sfortunate” aree del globo. Anche il rischio-incendi spesso evidenziato dalle batterie al Litio sarebbe scongiurato.

Il discorso può essere ben diverso se si dimenticano per un momento gli autoveicoli e si pensa invece al problema dello stoccaggio di energia nell’ambito della rete elettrica nazionale.

Qui il fattore peso e, in certa misura, anche l’ingombro, non sono così importanti, mentre è molto apprezzabile la disponibilità di una nuova forma di stoccaggio che sia inseribile in rete, oltretutto in modo diffuso sul territorio e non limitata a quei luoghi, relativamente pochi, che sono favoriti dalla geografia (come accade con i bacini idroelettrici). E infatti cominciano a moltiplicarsi i progetti-pilota di questo tipo, così come le aziende che se ne occupano. 


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