Ricarica a 350 kW con il connettore CCS? Tempi rapidi ma qualche dubbio

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Come abbiamo recentemente riferito, un consorzio di case tedesche ha lanciato un progetto per l’installazione di una rete di colonnine di ricarica rapida in Europa. Dovrebbero essere 400 già nel 2017, per poi diventare migliaia nel 2020.

L’aspetto tecnicamente interessante è che l’obiettivo dichiarato è di supportare una ricarica a 350 kW, per intenderci quasi il triplo del top attuale, il Supercharger di Tesla che attualmente funziona a “soli” 120-145 kW.

Ricaricare a 350 kW significa batterie piene in 5 minuti

Con potenze di ricarica così elevate i tempi si accorciano di parecchio: ad esempio, se potessero sfruttare appieno la potenza di ricarica di 350 kW, una Nissan Leaf da 30 kWh e una Zoe da 41 kWh si ricaricherebbero da zero al 100%, rispettivamente, in 5 e 7 minuti).

Anche se si deve tenere conto che batterie di tali capacità non sono nulla al cospetto di un comunissimo serbatoio da 50 litri pieno di gasolio, che equivale a portarsi dietro quasi 500 kWh di energia.

Pur accorciandosi, i tempi restano tuttavia ben lontani da quelli di un rifornimento di idrocarburi. Per dare un termine di paragone, versare banale benzina in un serbatoio (a un ritmo di un litro ogni 2 secondi) equivale a ricaricare con una potenza di 16 MW (16000 kW). Se invece di benzina si versa gasolio, la potenza di “ricarica” equivalente e’ di quasi 18 MW.

Anche tenendo conto che il rendimento termodinamico dei motori a combustione interna non supera il 40%, e che quindi oltre metà del contenuto del serbatoio andrà sprecato sotto forma di calore, stiamo pur sempre parlando di una potenza di ricarica “efficace” intorno ai 7 MW (7000 kW).

Con 350 kW di potenza ricarica elettrica, una velocità apparentemente stellare per gli standard odierni, e che pone delle sfide tecnologiche non indifferenti e anche dei seri problemi di ripensamento della rete elettrica di distribuzione, siamo quindi appena a un ventesimo della velocità di rifornimento energetico a cui ci hanno abituato gli idrocarburi liquidi.

Comunque è un salto tecnologico da apprezzare e vale la pena di analizzarlo. La domanda più spinosa è: come si fa a far passare 350 kW dallo stesso connettore CCS che oggi solitamente lavora a potenze ben inferiori, come 50 kW?

Lo standard CCS in effetti prevede già degli step evolutivi: a 100 kW, 200 kW e infine, appunto, a 350 kW.

Connettore-ricarica-ccs
Il connettore di ricarica CCS

Negli scenari di ricarica ultrarapida si utilizza la parte di connettore CCS dedicata alla corrente continua. Qui trovano posto 2 pin dimensionati per far passare una corrente di 200 A. La corrente gestibile ha un limite perché per effetto Joule un conduttore si scalda se attraversato dalla corrente: se c’è una sproporzione tra la corrente che passa e la sezione del conduttore, il riscaldamento può diventare pericoloso e danneggiare, per eccesso di temperatura, connettore, rivestimenti isolanti e lo stesso cavo.

Supportare correnti superiori a 200A richiederebbe o materiali ancora migliori conduttori del rame o, più realisticamente, un aumento delle dimensioni delle superfici di contatto, delle sezioni degli spinotti (e naturalmente anche della sezione dei conduttori dei cavi di ricarica); ma questo comporterebbe una revisione delle geometrie del connettore e in definitiva una deviazione dallo standard.

Questo significa che per far passare potenze di ricarica elevate come 350 kW, se il connettore DC del CCS è materialmente in grado di trasferire al massimo 200 A, non resta che agire sulla tensione di lavoro, aumentandola fino a valori molto elevati.

Che tensione potrebbe servire per caricare a 350 kW

Per caricare a 100 kW su 200 A occorre una tensione di 500 V tra i due pin DC. Per 200 kW si deve salire a 1000 V, mentre per trasferire 350 kW la tensione deve arrivare al valore di ben 1750 V.

Si tratta di una tensione (continua) circa 8 volte superiore alla tensione della rete elettrica domestica (220 V). E i due pin DC del CCS distano pochi centimetri: non certo 8 volte la distanza esistente tra gli spinotti di una presa 220V. In generale, maggiore è la tensione tra due spinotti o tra due conduttori e migliore deve essere l’isolamento fra di essi; a parità di ogni altra condizione una breve distanza sicuramente non aiuta a ottenerlo, anzi accresce il rischio di scintille (con aria secca e tutti i componenti asciutti).

L’alternativa per non essere costretti ad alzare troppo la tensione è quella di elevare la corrente. Ma superare i 200 A richiederà un sistema di raffreddamento a liquido per i cavi (!) e forse anche per i connettori (quest’ultimo non solo lato stazione di ricarica, ma forse anche lato auto). La complessità cresce, e con essa i costi. I pezzi e sistemi che possono guastarsi, anche. Ma non si tratta di soluzioni immaginarie visto che Tesla già nel 2014 ha depositato un brevetto su un sistema di raffreddamento per cavi di ricarica. Preceduta, peraltro, da Sumitomo che ne ha depositato uno sullo stesso tema nel lontano 1997.

Potenziali rischi non trascurabili sarebbero poi da mettere in conto se il rifornimento avvenisse in una giornata piovosa con terreno, carrozzeria, abiti e mani bagnati e magari lo stesso connettore CCS bagnato. Ovviamente la colonnina dialoga con l’auto e opportuni sistemi di sicurezza provvedono a far iniziare effettivamente l’erogazione di corrente solo dopo che il connettore sia stato inserito e sia stato dato il consenso per procedere, ma resta il fatto che l’alta tensione crea una situazione con un rischio intrinsecamente maggiore.


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6 COMMENTI

  1. La tensione non supera i 1000 V. La corrente arriva sino a 400 A. Avviene tramite un liquido refrigerante che scorre nel cavo e raggiunge il connettore. Tra l’altro a eCarTec di Monaco era presentate già diverse soluzioni disponibili in commercio. Questo permette anche di avere cavi di sezione un po’ più piccola. Poi i dubbi ci sono ma non sono tecnici, sono commerciali. Quanto sarà disposto a pagare di più l’utente per fare la ricarica a 350 kW anzichè a 150 kW ?

    • Anche se CCS 1.0 prevede espressamente modalità 200 e 350 kW, proprio la necessità di prevedere un sistema di raffreddamento a liquido è la conferma che senza “aiuti”, cavi e connettori standard CCS 1.0 realizzati con materiali (nel 2016) commercialmente ragionevoli non potrebbero raggiungere in sicurezza l’amperaggio necessario per evitare di dover innalzare troppo la tensione. Altrimenti nessuno avrebbe aggiunto complessità e costi senza ragione. E il fatto che pur di poter contenere l’aumento della tensione si sia disposti ad accettare la complessità aggiuntiva rappresentata da un sistema di raffreddamento a liquido per i cavi, è una conferma della tesi che, pur con i molteplici sistemi di sicurezza del CCS, l’alta tensione rimane una cosa poco desiderabile in un sistema di ricarica per auto elettriche.

      Sul raffreddamento a liquido di cavi di ricarica per veicoli elettrici Sumitomo aveva già depositato un brevetto nel 1997 (poi lasciato scadere..) ed è tornata sul tema Tesla nel 2014 con un suo brevetto.
      Guardando a lungo termine, viene da pensare che quando saranno disponibili materiali superconduttori a temperatura ambiente con proprietà tali da poterli usare per realizzare cavi di ricarica flessibili a costi abbordabili, il problema sarebbe ridimensionato. Sempre che prima di allora non ci siano già stati progressi fenomenali nella ricarica wireless.

      Qualunque sia la tecnologia adottata per trasferire l’energia dalla stazione di ricarica al veicolo, comunque, un altro problema potrà poi essere quello di ripensare l’architettura dei pacchi batterie con un diverso bilanciamento serie-parallelo delle celle elementari, perchè l’insieme possa assorbire una potenza di ricarica ingente e al tempo stesso avere le proprietà richieste per il comportamento in erogazione. Sempre che prima di allora non abbiano fatto salti di qualità strepitosi gli ultracondensatori, per i quali la velocità di carica è un problema assai meno spinoso di quanto non lo sia per le batterie elettrochimiche.

  2. Poi. La tensione è applicata tra i due conduttori attivi, ma non c’è alcuna tensione verso terra. Si chiama sistema IT: anche se si toccasse un cavo attivo non si prenderebbe alcuna scossa perché la tensione del sistema è flottante. Per intenderci è lo stesso sistema che si usa nelle sale operatorie per gli apparecchi che si infilano nel corpo umano aperto. Quindi il sistema è intrinsecamente sicuro per eventuali contatti con persone anche bagnate. Eventualmente, sempre in linea di principio trascurando tutti i sistemi di sicurezza, l’umidità potrebbe creare un guasto tra le due polarità, mettere fuori servizio la stazione di ricarica, ma non coinvolgere le persone.

  3. Conti simili e considerazioni simili le avevo già fatte mesi / anni fa.
    Come dice un mio collega, l’unica soluzione realmente abbordabile, a meno di non cambiare le nostre abitudini per la mobilita (elettrica), è quella di rendere standard (tra i diversi produttori di auto) i pacchi batteria. Il “rifornimento” avverrebbe sostituendo i pacchi batteria esausti con quelli già ricaricati dalla stazione di servizio stessa. Il meccanismo (la meccanica/procedura di sistituzione dei pacchi batteria) dev’essere anch’essa standardizzata. Un problema non di poco conto ma certamente più facilmente risolvibile rispetto a quello di usare materiali superconduttivi per la ricarica batterie.
    La stazione di rifornimento si dovrebbe quindi preoccupare di ricaricare le batterie esauste. Questo potrebbe essere fatto in modo agevole e con tempi più lunghi rispetto al rifornimento sul veicolo potendo disporre di un numero elevato di stazioni fisse di ricarica che lavorino in parallelo.

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